La morte ai tempi di Facebook, di Davide Sisto
La prima volta che ho veramente compreso quanto il digitale rivoluzioni il nostro legame con la morte è stato un giorno del novembre 2014: appena sveglio, ricevo sul mio smartphone una notifica da Facebook che mi ricorda il compleanno di un amico. Morto, però, tre mesi prima all’improvviso.
Un morboso desiderio di autolesionismo emotivo mi spinge a ritornare subito sulla bacheca del suo profilo Facebook. E non occorre uno spirito di osservazione particolarmente acuto per cogliere le tante suggestioni che quella bacheca produce, in modo del tutto casuale e senza un filo logico razionale.
In primo luogo, lo spettro dell’interruzione: il classico susseguirsi quotidiano di fotografie, videoclip, pensieri personali che, di colpo, si interrompe senza più possibilità di ripresa. Sarà pur vero ciò che sostiene il filosofo coreano Byung-Chul Han, vale a dire che la bacheca di un social network non è niente più che una meccanica, fredda, morta enumerazione e addizione di eventi o di informazioni, che si accumulano senza anima. Nulla a che vedere con la narrazione viva della nostra memoria, la cui forza pulsante è tutta racchiusa nel dimenticare, quindi nel non trattenere tutte le esperienze vissute. Tuttavia, fermarsi a osservare quella bacheca virtuale, con la sua successione temporale di immagini e riflessioni, è come rendersi d’un tratto consapevoli che, con la morte, il presente viene inghiottito dal passato, il tempo non ha più né vitalità né senso. Sale, quindi, l’angoscia per la mancanza del commiato e per il senso di incompletezza che, mai così nitida come sullo schermo del computer, è tipica di una morte avvenuta all’improvviso. L’interruzione inattesa, non calcolata né prevista solitamente all’interno di una vita scandita da ritmi e abitudini quotidiane, è senza ombra di dubbio amplificata da un social network come Facebook.
In secondo luogo, lo struggimento degli amici e dei conoscenti: la bacheca comincia a riempirsi di messaggi di saluto, di dediche musicali, di ricordi. Messaggi diretti in forma colloquiale alla persona morta. Da una parte, sembrano tentativi di comunicazione con chi non c’è più; gli amici si rivolgono a lui come se fosse in grado ancora di leggere. Sopra una fotografia un ragazzo scrive: “Questa appendila alla nuvoletta accanto a te. Tanti Auguri!”. Come se ci fosse una specie di anima del mondo che collega i vivi con i morti, ora, tramite Facebook. Il social network sembra farsi carico della tradizionale comunicazione simbolica tra l’aldiquà e l’aldilà, una comunicazione percepita stranamente – davanti allo schermo del computer – come reciproca. Molto diversa da quella che creiamo sulla tomba della persona amata al cimitero, la quale è più pensata e immaginata che realmente “vista” con gli occhi. Da un’altra parte, questi messaggi sembrano tentativi volti “a fare gruppo”. Si cerca cioè di condividere virtualmente il dolore con le altre persone, eludendo il pudore e le difficoltà che hanno spesso luogo nella realtà. Il commento sotto un messaggio di commiato sulla bacheca di Facebook, con magari il ricordo di un aneddoto o di una propria riflessione, non è invasivo perché si riesce a nascondere il proprio stato d’animo dietro allo schermo. Mentre nella realtà si fa più fatica a condividere quel dolore, quindi a vincere la vergogna di mostrare i propri sentimenti o di dire frasi banali.
Facebook ci pone di fronte a quella morte che rimuoviamo quotidianamente dalla nostra vita. Lo fa in moltissimi modi diversi, ben più numerosi rispetto a quelli che ho brevemente indicato. Nel bene e nel male. E dobbiamo, il prima possibile, prenderne atto e coglierne le conseguenze. Facebook, infatti, è già oggi il più grande cimitero che vi sia al mondo, facilmente accessibile tramite un computer o un telefono cellulare. A fine 2014 si contavano oltre 50 milioni di utenti morti; secondo Hachem Sadikki, esperto di statistica presso l’Università del Massachussetts, nel 2098 il numero di utenti deceduti sarà addirittura superiore a quelli ancora in vita. I dati che lo portano a tale conclusione sono principalmente due: la scelta dei gestori del social network di non eliminare in modo automatico gli account degli utenti deceduti e il rallentamento progressivo dei nuovi iscritti. Se le previsioni sono corrette, il social network più popolare al mondo sarà, alla fine di questo secolo, una distesa di profili fantasma, quindi di pensieri, fotografie e ricordi di persone che non ci sono più, a totale portata di mano di chi è invece ancora in vita.
E, tra i tanti problemi che questo comporta, vi è quello della propria privacy e dell’eredità della nostra vita virtuale. Da pochi anni, Facebook ha inventato l’opzione del “contatto erede”: ciascuno di noi può scegliere in vita se eliminare, una volta morti, il proprio account o se farlo diventare “commemorativo” tramite un erede. Si sceglie una persona di famiglia o un amico, il quale può scrivere un post fissato in alto nel profilo, magari dando informazioni agli altri amici virtuali; può rispondere alla eventuali richieste di amicizia e aggiornare l’immagine del profilo e di copertina. Non può però accedere ai dati personali. Nella pagina, in alto, compare la scritta “in ricordo di”. L’opzione del “contatto erede” dimostra quanto sia sentita la necessità di pensare a ciò che può succedere dopo la propria morte, proprio perché ormai la realtà virtuale è diventata parte integrante di quella reale.
Difficile comunque riuscire a farsi un’idea precisa se Facebook renda più traumatico il lutto o ne sia invece di aiuto, se rende più doloroso il distacco o se genera una qualche forma di sollievo, anche nell’ottica di una maggiore comprensione del significato della morte per la vita. Voi cosa ne pensate? Avete già avuto esperienza di una persona deceduta con il profilo Facebook attivo? Come vorreste che venisse gestito dopo la vostra morte? Sono molto curioso di sentire opinioni a riguardo.