L’oblio dopo la morte: il piacere di essere una parentesi, di Davide Sisto
Il 10 settembre il cantautore Morgan pubblica – sia su Instagram sia su Facebook – l’immagine della lapide di Franco Battiato, scrivendo un lungo post colmo di indignazione. Sulla lapide, infatti, c’è scritto un anonimo “Battiato Francesco”. Morgan immagina che ciò dipende dal fatto che Francesco è il nome di battesimo del noto musicista siciliano, nome con cui è stato registrato all’anagrafe 75 anni fa. Tuttavia, egli ritiene un affronto nei confronti del suo pubblico quella dicitura, poiché rende la lapide poco identificabile e, di fatto, la sottrae al doveroso possesso di chi ha ammirato Battiato nel corso della sua vita. Tutti nasciamo uguali, poi alcuni si differenziano per meriti che gli vengono riconosciuti dagli altri. Ecco perché, sostiene Morgan, è necessario che i fans di Battiato identifichino chiaramente dove è sepolto. Nessuno, a primo acchito, se legge il nome David Robert Jones sa associargli un’immagine; diversamente, invece, funziona se legge il nome David Bowie, con cui David Robert Jones è diventato uno dei più importanti artisti degli ultimi decenni. Il ragionamento di Morgan ha suscitato enormi polemiche sui social: molti utenti ritengono, infatti, scorretto invadere la privacy della famiglia di Battiato, la quale ha probabilmente rispettato il volere del defunto nel momento in cui lo ha seppellito in un luogo appartato del cimitero e con un nome non del tutto identificabile.
Al di là del caso specifico, la questione ha attirato la mia attenzione per una serie di ragioni che ci rimandano al tema della memoria e dell’oblio. Innanzitutto, mi ha fatto riflettere su come molto spesso si ritenga erroneamente normale credere che una persona nota per meriti artistici e creativi appartenga, anche post mortem, al pubblico che lo ha amato e idolatrato. Quindi, che quella persona non abbia il diritto di volere il proprio definitivo oblio in quanto singola identità soggettiva, pur conscia di rimanere nella memoria collettiva tramite le opere realizzate nel corso della vita. Morgan, nel caso indicato, non tiene conto della doverosa separazione tra l’identità dell’artista Franco Battiato e quella del cittadino Francesco Battiato: l’istrionismo dell’uno non automaticamente definisce chi lo ha adottato nel corso della vita. Si può essere istrionici, creativi, desiderosi di avere un pubblico idolatrante e, al tempo stesso, volere un anonimato che salvaguarda tutto ciò che non appartiene alla specifica dimensione artistica. Come sappiamo, non esiste per nessuno di noi un’identità unica e unitaria.
A ciò si lega un altro tema, a mio avviso, fondamentale: non tutti desiderano “rimanere” nel mondo una volta che sono morti. Per me, per esempio, è catartico riflettere spesso sul fatto che un giorno non sarò più parte del mondo, che la mia vita è stata una parentesi più o meno piccola tra una data di nascita, che include solo indirettamente ciò che c’è stato prima, e una data di morte, dopo la quale tutto continua a seguire il suo normale corso in maniera indipendente dal fatto che io ci sia o non ci sia. È catartico perché ridimensiona dal punto di vista pedagogico le mie smanie egocentriche (che non mancano, se devo essere sincero…): mi piace pensare che, in fondo, la mia presenza psicofisica nel mondo ha una rilevanza limitata. Al massimo, rimane traccia di ciò che ho realizzato, di qualche mio comportamento più o meno positivo, del contributo che ho cercato di dare all’interno della parentesi in cui ho vissuto.
A complicare ulteriormente queste riflessioni è la particolare epoca che stiamo vivendo: le tecnologie digitali rendono, cioè, sempre meno popolare il desiderio dell’oblio e la possibilità di raggiungerlo. Come spesso ho evidenziato, anche nel blog, la registrazione a tempo più o meno indeterminato delle nostre tracce digitali, all’interno dei vari luoghi online, rende impossibile la coincidenza tra la morte biologica e quella digitale. Si rimane costantemente “vivi” nella dimensione online, anche dopo la morte, tramite tutti quei frammenti che hanno tratteggiato e raffigurato alcune porzioni della nostra multimodale identità.
Ecco, pertanto, una ragione in più a riflettere sul senso dell’oblio post mortem, quindi a chiederci preventivamente quali porzioni della nostra identità vogliamo che restino una volta che non ci siamo più, quali invece vogliamo che scompaiano del tutto. Ritorna il discorso relativo alla lapide di Battiato: l’artista ha scelto un luogo appartato in cui farsi seppellire, da condividere con poche persone e non con un pubblico che già ha modo di conservare la sua memoria tramite la musica e le parole che ha scritto.
E voi come vi rapportate con la possibilità dell’oblio post mortem? Attendiamo come sempre le vostre opinioni a riguardo.
Sono stata allieva del prof. Cesare Boni e a mia volta mi occupo del tema della morte.
Personalmente la considero un transito e la prima fase è semplicemente un atto di “restituzione” materica agli elementi terreni. Il nostro corpo , se non cremato, diverrà materia in lenta decomposizione; ci è appartenuto e siano fatte le nostre volontà. Appartiene,viceversa, al progresso evolutivo dell’umanità il nostro piccolo o grande contributo. Chi non sostiene questa visione e si identifica con la “forma” nutrirà i relativi attaccamenti ad essa. Nel caso da te descritto potrebbe trasparire dal personaggio (che ritiene non vi possa essere questa opportunità per il defunto di esprimere il suo desiderio di oblio) una resistenza a non lasciar andare questo tipo di attaccamento , forse una proiezione personale di riconoscimento, trascesa in vita e/o nella sua fase finale , dal defunto stesso?
Secondo me, è una proiezione del suo desiderio di essere ricordato. Dunque, si indigna perché Battiato ha fatto un’altra scelta. Mi pare che si dia troppo peso alla propria memoria. Certo, sapere di non essere eterni ci spinge a cercare di dare un senso alla nostra vita tramite le tracce che lasciamo. Ma ragionare all’inverso non è detto che possa produrre sul piano emotivo e psicologico effetti anche più benevoli. Un caro saluto
Non sapevo di questa ultimo segnale controcorrente di Franco Battiato e ciò aumenta la mia stima nei suoi confronti e della sua famiglia. Mi viene in mente una persona che è stata molto importante nel percorso mio e di molti altri: in un dialogo poco prima di morire con un amico, alla domanda “come vorresti essere ricordato?” rispose “vorrei essere dimenticato”.
Per la cronaca, non l’abbiamo dimenticato per nulla, ma questo ormai è “affar nostro”!
Bellissimo aneddoto. E, in fondo, è la chiave di lettura del tema affrontato. Il desiderio di essere dimenticato, a mio avviso, è un esercizio mentale che serve, in vita, per ridimensionare il valore che ci si autoattribuisce. Poi, se qualcosa di buono si è fatto, resta dopo la morte, a prescindere dai vari riti e simboli umani. Grazie mille!
Io credo che questo argomento sia soggettivo e quindi non c’è da dire altro.